Quando
desideriamo qualcosa, quando speriamo in qualcosa, vuol dire che non siamo
felici nel presente. Chi è felice è soddisfatto del e nel presente, non
vorrebbe cambiare. Se sono innamorato, lo sono qui e ora, e non desidero altro.
Se dunque desidero o spero, c’è qualcosa che non mi soddisfa e voglio cambiare;
non voglio rimanere nel presente.
Il problema è
che non possiamo fare a meno di cambiare, perché siamo immersi nel divenire.
Ma anche se ho
paura e soffro, scappo da qualcosa e (stavolta) sono io che non voglio rimanere
nel presente. Qui il divenire mi viene in aiuto.
In entrambi i
casi, perdo il presente, volente o nolente.
Il rimedio
sarebbe logico: quando sto bene, devo cercare di rimanere nel presente, per
esempio seguendo il respiro o ripetendo un mantra o ascoltando un suono o
camminando consapevolmente. Questo atto mi ancora al presente e mi permette di apprezzare di più ciò che godo. Sarebbe una
forma di autoterapia.
Ma il problema
è sempre quello: non posso fermare il tempo, non posso evitare di rotolare con
il tempo, non posso impedire che a questo momento si sostituisca il successivo.
Il tempo ci
imprigiona, il tempo ci libera.
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