Ma come si fa a
pensare a ciò che il nostro cervello non è fatto per pensare?
Intanto ci
portiamo al limite del pensabile (contrassegnato dalle solite aporie logiche –
sempre le stesse) e incominciamo a pensare che ci possa essere qualcosa al di
là. La mente che è consapevole che si trova al limite è già un tantino al di
là.
Se siamo
consapevoli dei limiti, incominciamo a pensare all’impensabile. È come il pesce
che si avvicina alla superficie dell’acqua, ma non riesce ancora a fare un
salto per guardare che cosa c’è oltre, sopra. Però vede che c’è qualcosa.
Questa
operazione non è inutile. A forza di avvicinarci al confine e guardare la
situazione confusa che ci si presenta, incominciamo a compiere nuovi balzi,
dando furtivi e meravigliati sguardi all’al di là.
Il problema
della meditazione è che noi operiamo a un livello che ha due limiti: l’uno
superiore e l’altro inferiore, ossia il supercoscio e l’inconscio.
Paradossalmente
è nei momenti di crisi che ci si rivela più chiaramente la realtà – la vera realtà,
non quella costruita dalla ragione, basata sul principio di non-contraddizione.
È negli stati
di transizione o subliminali che possiamo operare con più efficacia.
Lo stato
meditativo ha poco a che fare con il livello razionale e conscio, che è sempre
un’interpretazione , una riduzione e un aggiustamento, ma è tutto ciò che sta
sopra e sotto.
È piuttosto uno
stato di transizione, di bardo, di
coscienza affievolita. È lì che possiamo operare più efficacemente, come il
chirurgo che deve fermare per un po’ il cuore per poter operare su di esso.
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