Pensiamo alla condizione paradossale dell’uomo. Da una parte
definisce se stesso l’essere che è dotato di coscienza. Ma dall’altra parte non
sa che cosa sia la coscienza. È qualcosa che… non sa cosa sia. Sa di non
sapere, ma non sa che cosa sia.
Ogni essere in realtà è cosciente, pur se a livelli diversi.
Non esiste insomma un’unica coscienza, ma tante coscienze, ad altezze
differenti. E nulla fa pensare che l’uomo sia al massimo; è possibile che qualche
altro essere, che non conosciamo, sia più cosciente di lui, magari su qualche
altro pianeta o in qualche altra dimensione.
Ora, l’essenza del processo di meditazione è ricercare che
cosa sia questo “essere cosciente” e domandarsi senza tregua “chi sono ?”, “che
cos’è la coscienza?”.
Però la risposta non può venire da una definizione
concettuale, ma da un’esperienza che sarebbe una specie di salto.
È come trovarsi sull’orlo di un burrone e vedere poco più in
là l’altro ciglio. Se vogliamo andare al di là, dobbiamo spiccare un salto. Ma
non sappiamo se abbiamo abbastanza coraggio e abbastanza energia e se ce la
faremo. Potremmo anche precipitare in basso e schiantarci.
Sì, la condizione umana è paradossale. E pericolosa.
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