Non prestate ascolto a chi ti invita ad amare gli altri disprezzando te
stesso. È sbagliatissimo.
Prima amare se stessi e poi gli altri; prima avere compassione di sé e
poi degli altri. O comunque contemporaneamente. Ma l’una cosa non esclude
l’altra. Tutt’altro, l’una cosa è complementare all’altra e la rafforza.
Chi non ama se stesso non può amare gli altri; lo farà come un dovere.
Chi non ha compassione di sé, come può aver compassione degli altri? In realtà,
nel profondo, li odierà.
Si tratta di una legge naturale, di un fondamento psicologico.
Se ami gli altri ma non ami te stesso – o perché odi te stesso -, non andrai lontano: resterai un essere
malato.
Se hai compassione degli altri, ma tratti male te stesso, ti giudichi
male e ti riempi di improperi, stai sbagliando. Dal momento che sei in vita,
devi vivere.
Così sbagliano tutti quei “religiosi” che, per dedicarsi agli altri, non
si curano di sé. In realtà soffrono di problemi irrisolti nella formazione del
sé. Non è vero che, per amare il prossimo o Dio, uno non debba provvedere alle
proprie esigenze. Chi ti spinge a farlo, è qualcuno o qualche istituzione che
vuole appropriarsi di te, che vuole possederti, farti schiavo.
La “rinuncia al sé” di cui si parla nelle spiritualità è semplicemente la rinuncia all’egoismo,
che è il contrario del soddisfare le proprie esigenze naturali di amore. L’egoista,
infatti, è un uomo avaro – anche di sé. Mentre la natura, e dunque Dio, vuole
che tu viva a pieno, non a metà.
La vita è preziosa. E non ti chiede mai di rinunciare. Se rinunci alla
vita piena, non puoi essere un individuo (“non diviso”) completo. Sei un
fallito. Sei uno che ha sprecato l’occasione che gli è stata data.
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