Si domandava il grande saggio cinese Chuang-tzu: “Potrò mai incontrare
un uomo con cui conversare senza parole?”
Non si tratta però di comunicare limitatamente, come facciamo con un
cane, ma di comprendere ancora più a fondo.
Noi parliamo più per nascondere che per comunicare (anche con noi
stessi); e spesso le parole sono solo suoni superficiali che non riescono ad
esprimere ciò che vorremmo, per esempio certe emozioni, certi stati d’animo.
Si tratta allora di capire oltre le parole.
C’è un linguaggio che non corrisponde alla lingua parlata, perché
esprime qualcosa che le parole non riescono a contenere. Ogni volta dobbiamo
fare una traduzione, che però impoverisce il senso, lo semplifica.
Proviamo dunque a conversare (anche con noi stessi) senza parole.
Mettiamoci in silenzio senza scambiarci i soliti convenevoli, i soliti luoghi
comuni, i soliti suoni, le solite frasi fatte. “Guardiamoci” senza aprir bocca.
Anzi, guardiamoci solo con la coda dell’occhio o non guardiamoci affatto:
sentiamo la presenza.
Quando pensiamo o proviamo qualcosa, in realtà stiamo comunicando prima
di tutto con noi stessi. E spesso non utilizziamo le parole. Le parole vengono
dopo, e riducono il senso.
Il linguaggio veicola la mente ordinaria. Ma l’ascolto meditativo
veicola l’oltre della mente.
Di solito, ciò che comunichiamo è semplice informazione di servizio. Ora
proviamo a far esprimere e ad ascoltare le anime.
Apriamo non la bocca, ma la mente. Andiamo oltre lo steccato-filtro del
pensiero concettuale.
Dedichiamoci alla meditazione silenziosa della comunicazione senza
parole, prima con noi stessi (già difficile) e poi con gli altri (ancora più
difficile, ma non impossibile).
Quando vogliamo capire profondamente chi sia l’altro o i nostro stesso sé,
usiamo forse parole?
La lingua del futuro sarà più simile alle vibrazioni della musica o
della luce che alle attuali lingue parlate.
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