Secondo alcune tradizioni meditative, lo Dzogchen e la Mahamudra, lo
sguardo deve essere aperto e deve essere rivolto direttamente davanti a noi.
Secondo il Mahayana e l’Hinayana, deve essere rivolto verso il basso,
intravedendo magari la punta del naso. Secondo il Vajrayana, deve essere
rivolto in su, verso lo spazio o verso la corona della testa.
Ma è meglio non guardare proprio niente, nessun punto. L’importante non
è guardare qualcosa, così come si fa nella contemplazione di un oggetto o di un
panorama, ma non fissare gli occhi su nulla. Lo scopo infatti è trascendere ogni
percezione e lo stesso pensiero concettuale.
Chiudiamo dunque gli occhi e concentriamo lo sguardo non dove si trova
qualcosa, ma nel punto in cui la mente smette di ragionare e rimane soltanto una
consapevolezza.
È difficile indicarlo a parole, dato che non si tratta di trovare un’immagine
o una direzione. Provate a trovare la posizione (di non-mente) quando ad occhi
chiusi vi lavate la faccia o quando vi chinate sulle mani e sulle ginocchia,
abbassandovi e rialzandovi più volte. Lo sguardo smette di guardare oggetti
fisici e trova una posizione dove “guarda” la parte interna del sé, l’interno
della mente – e la mente pensante si blocca.
Lì è la prova che può esserci presenza o attenzione o consapevolezza –
senza pensieri.
Nessun commento:
Posta un commento