Qualcuno ha una paura ossessiva della morte, e questa è una vera e
propria fobia – che più che con la morte ha a che fare con le insoddisfazioni
in vita.
Certo, l’essere cosciente, quando pensa che un giorno tutto si spegnerà
e lui finirà nel nulla, è preso da sgomento. Ma, se tutto finisce nel nulla, se
la coscienza si spegne e poi c’è solo l’incoscienza, vuol dire che non ci sarà
neppure un io a soffrirne. Come diceva Epicuro, se ci sono io non c’è la morte
e se c’è morte non ci sono io.
Se però la coscienza non si annulla del tutto, ma rimane una forma di
consapevolezza, svincolata dal cervello fisico, allora perché non sperimentarla
già adesso? A questo serve la meditazione.
Per far ciò, dobbiamo rimanere calmi e lucidi e armarci di coraggio.
Quindi dobbiamo approfondire tutti gli intervalli in cui la coscienza normale è
disattivata, per esempio nella pausa tra un pensiero e l’altro, tra un respiro
e l‘altro, tra la veglia e il sonno e sviluppare stati di forte concentrazione approfittando
magari dei momenti in cui l’attività concettuale è minima (quando ci si lava la
faccia o i denti, quando si fanno certi movimenti fisici, quando si fa l’amore,
ecc.).
Qui c’è una consapevolezza senza oggetto, una consapevolezza pura e
nuda, una consapevolezza senza pensieri. Esiste dunque una distinzione fra la
coscienza abituale (quella di essere o di fare) e la consapevolezza non
concettuale, la pura attenzione.
Questa pura consapevolezza è come il permanere dello schermo luminoso di
un televisore quando non vengono trasmessi programmi. Con la differenza che c’è
un senso di sollievo e di liberazione.
Questa pura luminosità consapevole è il
fondamento dell’essere stesso, quel fondamento che dev’essere interrogato prima
e dopo la vita di ogni singolo essere. È lo schermo luminoso su cui viene proiettato il film individuale.
Riuscire a ritrovarlo è identificare lo stato
oltre la mente, oltre la morte.
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