Quando ci si sottomette totalmente
e acriticamente ad un leader, ad una figura carismatica, ad un maestro o ad una
fede, rinunciando alla propria coscienza, alla propria autonomia, al proprio
senso critico ed ai propri bisogni affettivi ed emotivi, si compie un omicidio
di cui non si occuperanno le cronache ma che è uno dei più gravi e dei più
comuni – si uccide se stessi.
Magari lo farete per un nobile
proposito, magari vi metterete al servizio della carità e degli altri (come
certe suore). Ma commetterete il peggior reato: non realizzerete voi stessi, le
vostre potenzialità.
Ecco perché certi esempi di
santi o di leader religiosi che si sono negletti, trascurati, ripudiati e
sacrificati (anche per fini altruistici) sono i più nocivi modelli di una vita
sbagliata.
Dobbiamo prima realizzare
noi stessi per capire che siamo tutti non-divisi, che siamo tutti interconnessi
– e quindi per superare il nostro piccolo egocentrismo e per parlare di amore.
Perché è certo che ci si può sacrificare anche per narcisismo o per odio verso
parti di se stessi.
Ma, se non otteniamo prima
questa realizzazione del sé, e se ci mutiliamo, non potremo cogliere l’unità
del tutto. Un sé mutilato non può fare ovviamente nessuna esperienza della
totalità. In lui rimarrà sempre una parte separata e negata. In lui rimarrà
sempre la divisione dell’avversione.
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