Quando pratichiamo la meditazione,
formale o personale - o anche solo quando viviamo -, dobbiamo sempre ricordare
che non possiamo scegliere una parte sola, un estremo, una polarità di una
coppia, ma dobbiamo farle convivere entrambe.
Non c’è socialità senza
isolamento. Non c’è integrazione senza separazione. Non c’è apertura senza
chiusura. Non c’è coraggio senza paura. Non c’è partecipazione senza
evitamento. Non c'è distacco senza attaccamento. Non c’è liberazione senza confini.
Dovremo quindi oscillare da
una parte all’altra, dovremo appoggiarci prima su un piede e poi su un altro.
Non potremo vivere su un piede solo. Quando il buddhismo ci invita a scegliere
una “via di mezzo” tra austerità ed edonismo, conferma questa tendenza mobile
dell’animo umano.
Il mondo è ambivalente e
dialettico. La mente e il cuore sono dualistici. Non possiamo vivere immobili e
immutabili. Sarebbe un’esistenza unilaterale e sostanzialmente povera. Dobbiamo
fare del nostro meglio per stare in equilibrio, per barcamenarci. Ma, quando siamo
su una barca, non possiamo non ballare… la danza della vita.
La meditazione può
contemplare gli opposti, può osservarli, comprenderli ed abbracciarli. Niente è
inaccettabile per il testimone. Niente gli è estraneo.
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