martedì 14 ottobre 2014

Il fiume della vita

Con il karma che abbiamo avuto (genetico, fisico, psicologico, storico, religioso, familiare, ecc.) non possiamo far finta di nulla e scegliere un altro percorso. È come scendere un fiume: una volta in acqua, dobbiamo seguire la corrente e fare i conti con il percorso obbligato dell’alveo. E qui c’è la varietà dei nostri destini, delle nostre doti, dei nostri difetti, delle nostre esistenze, delle nostre morti.
Volenti o nolenti, dobbiamo seguire il fiume e andare là dove ci porta, fino in fondo, finché non sfocia in mare.
Poiché l’acqua compie sempre lo stesso percorso, dalla sorgente alla foce, il ciclo non s’interrompe: una volta giunta in mare si fonde con l’acqua salata, evapora, sale in alto, ridiscende sotto forma di pioggia e infine ricade ad alimentare quella sorgente o un’altra.
Come fare, allora, a cambiare il nostro destino?
Dobbiamo riflettere su questo ciclo che, pur nelle diversità individuali, è lo stesso per tutti. Magari in un’ansa particolarmente calma, dove l’acqua rallenta la sua corsa, possiamo provare il desiderio di rallentare o di fermarci. Lì possiamo ripensare a ciò che è accaduto, alle mille o ai milioni di volte che siamo ridiscesi da quel fiume o da un altro, e decidere che vogliamo interrompere quel ciclo di “va e vieni”. Ne abbiamo abbastanza.
Il più è rimanere consapevoli di questo stato di cose e di questa decisione, in modo da non farsi riafferrare dal desiderio di ritornare nel ciclo. Naturalmente, conta molto non aver lasciato nessuna esperienza incompiuta, provare un senso di sazietà o di noia, vedere la caducità di tutte le cose ed aspirare profondamente ad altro.
Così si compie il destino di qualcuno che non rientrare più in circolo. Evaporerà in alto, ma non discenderà più sotto forma di acqua.


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