Con il karma che abbiamo
avuto (genetico, fisico, psicologico, storico, religioso, familiare, ecc.) non
possiamo far finta di nulla e scegliere un altro percorso. È come scendere un
fiume: una volta in acqua, dobbiamo seguire la corrente e fare i conti con il
percorso obbligato dell’alveo. E qui c’è la varietà dei nostri destini, delle
nostre doti, dei nostri difetti, delle nostre esistenze, delle nostre morti.
Volenti o nolenti, dobbiamo
seguire il fiume e andare là dove ci porta, fino in fondo, finché non sfocia in
mare.
Poiché l’acqua compie sempre
lo stesso percorso, dalla sorgente alla foce, il ciclo non s’interrompe: una
volta giunta in mare si fonde con l’acqua salata, evapora, sale in alto,
ridiscende sotto forma di pioggia e infine ricade ad alimentare quella sorgente
o un’altra.
Come fare, allora, a
cambiare il nostro destino?
Dobbiamo riflettere su
questo ciclo che, pur nelle diversità individuali, è lo stesso per tutti.
Magari in un’ansa particolarmente calma, dove l’acqua rallenta la sua corsa,
possiamo provare il desiderio di rallentare o di fermarci. Lì possiamo
ripensare a ciò che è accaduto, alle mille o ai milioni di volte che siamo
ridiscesi da quel fiume o da un altro, e decidere che vogliamo interrompere
quel ciclo di “va e vieni”. Ne abbiamo abbastanza.
Il più è rimanere
consapevoli di questo stato di cose e di questa decisione, in modo da non farsi
riafferrare dal desiderio di ritornare nel ciclo. Naturalmente, conta molto non
aver lasciato nessuna esperienza incompiuta, provare un senso di sazietà o di
noia, vedere la caducità di tutte le cose ed aspirare profondamente ad altro.
Così si compie il destino di
qualcuno che non rientrare più in circolo. Evaporerà in alto, ma non discenderà
più sotto forma di acqua.
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