Ci sono persone delle nostre
società occidentali (europee e americana) che, dopo essere state allevate ed
educate nei nostri paesi, riscoprono le loro origini musulmane (o si convertono
all’Islam) e, presi dalla propaganda religiosa, partono per i luoghi in cui si
combatte una guerra sanguinosa con cui certi gruppi musulmani vorrebbero
istituire un Califfato, ossia uno Stato dominato da una spietata legge
coranica, che ha in odio la democrazia e
vuole una dittatura religiosa. Un po’ come se in Italia si volesse istituire
uno Stato cattolico governato non da leggi civili e laiche, ma da leggi
religiose.
Che cosa scatta in certi
individui? Certo, un malessere profondo che segna evidentemente un fallimento
delle democrazie occidentali, un fallimento dei processi d’integrazione. Certo,
un odio contro la democrazia e una voglia di fare la guerra, di uccidere. Ma,
soprattutto, scatta un antico riflesso – quello religioso, che sembra essere un
richiamo più forte di ogni altro valore. Un po’ come quando un uomo scopre di
essere un ebreo e, da quel momento, sente che la propria patria è Israele e non
più il paese in cui è cresciuto.
Non si tratta di un fenomeno
nuovo. È la riscoperta delle proprie radici, che esercitano un’attrazione
incredibile. Queste persone infatti credono in tal modo di poter acquisire un
senso di appartenenza che evidentemente avevano perduto. Ma il problema è che
sono incapaci di trovare la loro vera identità, che è certo più profonda di
quella religiosa; così si illudono di trovare nel passato ciò che li farà
sentire realizzati e integrati.
Trovare la propria identità
in una religione è un’illusione, per il semplice motivo che una religione è una
sovrastruttura ideologica, più o meno posticcia come tutte le altre.
La nostra identità non ha
niente a che fare con le radici religiose e neppure con quelle etniche. Anzi, è
ciò che si scopre quando si cancellano tutte le identità sovrastrutturali e ci
si vede nudi.
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