“Immortalità”,”eternità”,
sono parole grosse. Che ne sappiamo noi? Noi conosciamo solo la mortalità e la
transitorietà.
Potremmo tutt’al più dire
che vorremmo che tutto non finisse con la morte, che vorremmo avere la
possibilità di fare altre esperienze, chissà in quale forma.
Ma perché saltare subito
alle conclusioni e parlare di “immortalità” e di “eternità”? Semmai, decideremo
poi se è il caso di vivere un po’ più a lungo.
L’immortalità potrebbe
essere penosa.
Come diceva Henri Le Saux, “né l’eternità né il presente possono essere pensati” (Diario spirituale, Mondadori, 2001).
Come diceva Henri Le Saux, “né l’eternità né il presente possono essere pensati” (Diario spirituale, Mondadori, 2001).
Infatti, il problema è che quando ci si pone con troppa assiduità simili domande, significa che la propria vita sta perdendo di senso, o l'ha già persa da un pezzo. Questo è il punto, ed è il più punto di tutti: l'interrogativo che dovremmo porci, immortalità o meno, è il seguente: abbiamo trovato la nostra via, la vita che facciamo ci corrisponde, riusciamo ad esprimere noi stessi nelle cose di tutti i giorni? Noi spesso gettiamo la nostra esistenza in percorsi che non ci appartengono, che confliggono con la nostra natura, e questo per mancanza di coraggio, per pigrizia, per incapacità di sottrarci alla norma. Fino a che qualcosa di terribile ci avvisa che abbiamo tradito noi stessi. E allora, magari, spunta il pensiero dell'immortalità. Ma questa non può essere una consolazione. Il seme della vita terrena è così sacro che appare un delitto lasciarlo seccare.
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