Il koan fondamentale è “chi
sono io?”, “che cos’è la mia mente?”, “qual è la mia natura?”, “qual è la mia
identità?”. Ma il problema è che non bisogna darsi una risposta concettuale,
una definizione che sarebbe comunque insufficiente, ma sentire se stessi, sentire che cosa si è in quel momento. E chi può
saperlo meglio di noi?
Il paradosso è che questa
esperienza è difficile, in altri termini noi non sappiamo quasi mai chi siamo.
In che situazione bizzarra si trova l’uomo! Ha una coscienza, sa di essere, ma
non sa chi è: non riesce a cogliersi
mentre è.
È come se se lo fosse
dimenticato. Soffre di amnesia, ha perso la propria identità.
Non a caso, cercare di
ricordarsi è un esercizio di meditazione.
Siamo simili a quel leoncino
che era stato allevato in un gruppo di pecore. Si credeva una pecora e aveva
imparato a belare. Ma si sentiva insoddisfatto, incompleto, infelice. Finché un
giorno incontrò presso uno stagno un leone, che lo prese per la collottola e
gli disse: “Guarda il tuo riflesso nell’acqua. Non sei una pecora, sei un
leone!” Il leoncino in un attimo capì… e si mise a ruggire.
Ma la nostra situazione è
peggiore. Perché siamo allevati da un gruppo di pecore che fa di tutto per
farci credere di essere come loro. Quasi tutti – genitori, insegnanti,
politici, preti… - vogliono farci credere di essere pecore.
Dunque, dobbiamo far leva
sul nostro senso d’insoddisfazione e di disagio per ribellarci; dobbiamo fare
sforzi per ricordarci che la nostra natura è un’altra. Non siamo pecore, non
siamo servi, non siamo sudditi di un re – siamo i figli di quel re, siamo gli
eredi. Recuperiamo la nostra vera origine, la nostra natura, la nostra identità
perduta.
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