Già Nietzsche scriveva ne La gaia scienza che oggi ci si vergogna
di dedicarsi al riposo o alla meditazione, perché il nostro comandamento primo
è l’attività. La vita è costantemente “a caccia di guadagno” e gli uomini sono
“schiavi stremati dal lavoro” che provano un senso di colpa a godersi un periodo
di otium, a “lasciarsi andare”, a
fare una passeggiata o a buttarsi “lunghi distesi”.
La vita contemplativa non si
sa più che cosa sia, neppure nelle religioni, tutte dedite al fare, al
conquistare e all’accumulare soldi. Chi lavora si sente la coscienza a posto, e
l’inclinazione alla distensione e alla gioia viene definita “bisogno di
ricreazione”. Una volta era il contrario: la nobiltà stava nell’otium e la volgarità stava nel negotium, nel lavoro.
Questione di pregiudizi,
concludeva Nietzsche. Il quale faceva rilevare come la “buona coscienza”, più
che un fatto di coscienza, sia un fatto di convenzioni e di tradizioni.
Resta il fatto che una
“buona coscienza” è spesso una coscienza condizionata e che ci vogliono forza e
coraggio per farsi una coscienza personale. Non basta adottare la coscienza
della maggioranza per essere dalla parte del giusto.
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