La storia
del Buddha ci racconta che quando il giovane Siddharta, un principe vissuto tra
gli agi, uscì dal palazzo in cui era cresciuto al riparo delle brutture
dell’esistenza e incontrò per la prima volta un vecchio, un malato e un morto,
capì che la vita non era per niente facile e che la sofferenza attendeva tutti.
Malattia, vecchia e morte sono inevitabili e ogni cosa è impermalente - rivelazione
che prima o poi hanno tutti.
Essendo un tipo sensibile, si mise alla ricerca di maestri che gli
insegnassero un metodo per uscire dal dolore. Così seguì vari metodi, tutti
insoddisfacenti, e alla fine si dedicò ad un ascetismo rigoroso. Mangiando
pochissimo, si ridusse a pelle e ossa; ma non raggiunse nessun tipo di
realizzazione.
Deluso, abbandonò quelle pratiche e si sedette sotto un albero.
Qui rimase l’intera notte. Sembrava tutto inutile. Gli pareva di aver fallito.
Poi, alle prime luci dell’alba, gli apparve la stella del mattino,
e all’improvviso “si illuminò.” Che cosa aveva capito?
Aveva capito che la stella era bella e perfetta così com’era. E
che anche lui era bello e perfetto nella sua natura, così com’era, con tutti i
suoi dolori e le sue imperfezioni. Non mancava niente alla stella per essere
una stella. Non mancava niente a Siddharta per essere Siddharta.
Ogni cosa è illuminata
nella sua oscurità. Ogni cosa è perfetta nella sua imperfezione. Niente deve
diventare diverso da ciò che è. Perfezione e imperfezione non si escludono a
vicenda. Cambiamento e stabilità non si escludono a vicenda. Nascita e morte
sono un tutt’uno. Gioie e dolori sono un tutt’uno. Schiavitù e liberazione sono
un tutt’uno. Nirvana e samsara (il mondo) sono un tutt’uno.
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