Già Pascal aveva scritto che
gli uomini, per non percepire la propria infelicità, si dedicano ad ogni tipo
di passatempo, di divertimento e di passione. Senza queste attività che li impegnino,
si sentono angosciati, perché sono messi di fronte al proprio vuoto interiore.
Non essendo capaci di starsene un’ora tranquilli in una stanza, cercano di
stordirsi con ogni genere di impegno, di trambusto, di rumore, di spettacolo e
di compagnia. Per loro, la prigione è esattamente il luogo dove regnano il
silenzio, la solitudine e l’inattività.
Per la maggior parte degli individui,
come aveva fatto notare anche Kierkegaard, lo stare soli viene considerato un
castigo, una punizione. Di conseguenza rifuggono dal riposo e cercano
affannosamente distrazioni, affanni, agitazioni e occupazioni.
Il problema è dunque
l’incapacità degli uomini di essere messi di fronte a se stessi.
Nella meditazione prendiamo
il toro per le corna e diciamo che, finché l’individuo cercherà di evitare se
stesso, sarà infelice e alienato. È proprio lì il punto: non fuggire, e
addestrarsi ad affrontare se stesso.
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