È la sensibilità che ci manca – sensibilità che è la vera
comprensione. Così rimaniamo alla superficie, nascondiamo, reprimiamo, deviamo,
abbiamo paura di affrontare la realtà, ci accontentiamo di un assaggio, ma poi
celiamo a noi stessi.
La porta è bloccata dall’angoscia, dal terrore di scoprire che
viviamo di finzioni, che ci accontentiamo di poco.
L’angoscia è la guardia armata che ci impedisce l’ingresso. Qualcosa
ci respinge, qualcosa ci ottunde per farci accettare l’insopportabile.
Qual è il motivo che ci fa scappare?
Scoprire che tutto questo non vale la pena, che nascere e morire
non vale la pena.
Pensate che noi abbiamo paura di perdere la nostra piccola
coscienza, il nostro incerto io – questo è ciò che più ci terrorizza.
E non capiamo che è esattamente il contrario. È la strozzatura
delle coscienza che ci ostacola. Mentre la sua perdita è la liberazione.
Che capovolgimento!
Se togliamo i lustrini e le paillettes alla vita (il mangiare, il
copulare, le arti, gli spettacoli, i vestiti, le bellezze della natura, ecc.),
ecco comparire l’altro volto: quello orribile della malattia, della follia, della
guerra, del contrasto, della violenza, della vecchiaia, dell’egoismo, della
morte, ecc.
Ma non possiamo dirlo. Dobbiamo nascondere, dobbiamo illudere,
dobbiamo inventare favole per bambini, dobbiamo censurare.
Come diceva Leopardi,
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
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