Per risvegliarsi occorre liberarsi di gran parte dei nostri
pensieri, delle nostre concettualizzazioni e delle nostre oggettivazioni, e ritrovare
i processi basilari e spontanei della mente.
Ma cercare la spontaneità, la naturalezza o l’abbandono non è
facile, perché la nostra mente è ormai piena di pregiudizi, di preconcetti, di
valori e di schemi più o meno artefatti. Bisogna saper distinguere i pensieri
che si originano spontaneamente: il primo è certamente “io sono”, “io esisto”.
È qualcosa che non ha bisogno né di argomentazioni né di dimostrazioni. È
immediato, istantaneo, spontaneo e non concettuale, e viene dato per scontato. È
forse il primo pensiero, cui seguono tutti gli altri.
“Io sono perché sono
cosciente.” Così tutto ciò che minaccia il mio essere, il mio esistere, produce
sensazioni, reazioni e pensieri altrettanto immediati. Se in una foresta mi trovo
di fronte a un leone, non ho bisogno di pensieri o di ragionamenti per giustificare
ciò che provo.
Ma tutte le riflessioni, i ricordi, i rimpianti o le
anticipazioni, tutti i sogni a occhi aperti, tutto il nostro rimuginare, tutto
ciò esce dalla spontaneità. Si tratta di elaborazioni di pensieri mediati,
indiretti e basati sul dualismo dei contrari: bene-male, buono-cattivo, bello-brutto,
soggetto-oggetto, nascita-morte, amore-odio, prima-dopo, alto-basso, utile-inutile
e così via.
I pensieri più ispiranti si producono quando la mente si è
liberata di tanti valori, giudizi ed elucubrazioni ed emergono naturalmente
come se non ci fosse più un soggetto che li controlla e dirige. Ripensandoci
dopo, ci accorgiamo che ci sono i pensieri, ma non c’è chi li pensi. E
scopriamo che anche quello dell’ “io” è un concetto.
Sono questi i casi in cui si origina un’azione efficace e senza
macchia. Facciamo quel che dobbiamo fare, compiamo quello che è necessario.
Nessun commento:
Posta un commento