Quando
si parla di invocare, ci si riferisce a qualcuno o a qualcosa di esteriore, e,
quando si parla di evocare, ci si riferisce a qualcuno o a qualcosa di
interiore. Naturalmente una cosa non esclude l’altra, e in alcuni casi
coincide. L’uomo che crede di invocare una divinità, mobilita inconsapevolmente
la propria forza interiore; e l’uomo che evoca una propria forza, muove
inconsapevolmente anche altri poteri.
Il fatto è che la distinzione esterno-interno è una delle tante di una mente
duale che deve contrapporre per conoscere. Ma, nella realtà, la
contrapposizione non esiste o è molto più sfumata. Che cos’è infatti l’interiorità
dell’uomo se non qualcosa che si contrappone all’esteriorità?
Questo
per dire che chi fa meditazione si pone sempre al confine tra evocazione e
invocazione, tra interiorità ed esteriorità, tra soggetto ed oggetto, e si sforza
di andare oltre cercando quell’unità che è andata perduta con la nascita della
coscienza umana.
Al
soggetto appartiene di più la decisione di dare inizio alla meditazione, ma poi
il processo va avanti per così dire autonomamente - soggettivo ed oggettivo
nello stesso tempo, al di là di entrambi.
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