“Chi l’avrebbe detto che la cura degli altri sarebbe consistita
nel tenerli lontani?” si domandava Massimo Bucchi sul ‘Venerdì’ di Repubblica.
In effetti, abbiamo esagerato nell’assembrarci, nello stare vicini, nel
calpestarci i piedi. Le nostre città, viste dall’alto, sembrano grandi e
spaventosi formicai.
Ora la nuova parola d’ordine è “tenere le distanze”, isolarsi,
considerare con sospetto anche un parente o un amico – il contagio può venire da
chiunque.
È chiaro che ci siamo scordati di alcune buone norme, la prima
delle quali è evitare la sovrappopolazione, la folla, la calca. Starsi addosso l’uno
sull’altro è sbagliato sia per motivi igienici sia per motivi psicologici.
Dobbiamo lasciare spazi vuoti non solo per respirare ma anche per non
soffocarci in senso spirituale. Dall’assembramento, dalla massa, non viene mai
niente di buono. Ognuno deve avere il proprio spazio, altrimenti, come in una
prigione troppo affollata, vedrà l’altro come un nemico.
Anche se gli uomini hanno una provenienza e un destino comune, non
sono né api né formiche. Sono individui che cercano il loro spazio. E
comprimerli è un errore.
Lo spazio è come il tempo, ed entrambi sono costitutivi della coscienza.
Non c’è coscienza nella massa, non c’è intelligenza.
Createvi il vostro spazio per vedere più chiaramente. Le società di
massa creano solo confusione e, come si vede, malattie contagiose. La mente
deve essere libera e spaziosa per capire.
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