Porsi in uno stato di testimonianza significa non essere toccati
dalle vicende dell’io fenomenico, con il suo corpo e la sua mente. Già nella
Mundaka-upanishad si accenna a due begli uccelli, intimi amici, che stanno
appollaiati sullo stesso albero e, mentre l’uno si nutre dei frutti dolci e
amari di questo albero della vita, l’altro contempla distaccato.
Con questa immagine si allude ai due stati o alle due dimensioni dell’uomo:
da una parte l’ego completamente coinvolto che fruisce dell’esperienza del
mondo e dall’altra il Sé che immoto osserva le azioni del primo senza farsene catturare.
Questo discorso delinea anche l’atteggiamento contemplativo, in
cui il soggetto ferma il proprio coinvolgimento e lo osserva - osserva se
stesso come attore.
Ora, finché l’uomo si fa trascinare nel mondo, è soggetto al
piacere e al dolore, alla vittorie e alla sconfitta, alla gioia e all’infelicità
– e soprattutto al ciclo del nascere e del morire. Quando invece si fa
Testimone distaccato, non solo esce dall’elemento negativo di ogni antinomia,
ma raggiunge la propria identità ultima, quella che non appartiene più al mondo
bensì all’eterno.
Ognuno di noi, se dotato di consapevolezza e introspezione, può
addestrarsi a questo continuo trascorrere fra coinvolgimento e non
coinvolgimento, solidificando sempre più la parte non mortale di sé.
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