“Penso, dunque sono” diceva Cartesio – e aveva ragione: senza
pensiero, senza coscienza, non sapremmo di essere. Ma che cosa succede quando
non pensiamo?
Eh, sì, perché non è che stiamo tutto il giorno a pensare… e a
pensare di essere. Quando per esempio dormiamo, dove finisce il nostro
pensiero? E nel sonno profondo senza sogni? E quando ci fanno un’anestesia? E
tra un pensiero e l’altro?
Dobbiamo dunque notare che il nostro stesso essere, il nostro
pensare e la nostra consapevolezza hanno per lo meno una struttura discontinua:
sono un po’ sono attivi e un po’ no.
Ma c’è un altro aspetto da notare. L’essere presenti e coscienti non
ci dà affatto la felicità. Anzi, sono numerosi i momenti di insoddisfazione, di
mancanza, di desiderio, di sofferenza.
Per dirla tutta, quando ci troviamo nel sonno profondo non
soffriamo affatto, non abbiamo problemi e anzi ci riposiamo. Esattamente come
succedeva prima di nascere. Avevamo problemi prima di venire all’essere?
Il fatto è che noi non nasciamo da soli - qualcuno ci fa nascere:
per un attimo di piacere, una montagna di sofferenza. Certo, ci saranno anche
le gioie – ma fatevi un po’ i vostri conti. Com’è il bilancio? Valeva la pena?
Perché c’è da aggiungere che lo stato dell’essere è per sua natura
instabile, precario, transitorio, davvero difficile da tollerare. Gli uomini si
agitano da mane a sera perché sono tormentati, perché non sono felici da
nessuna parte, perché sono sempre insoddisfatti. L’essere non è il regno della
felicità.
Penso, dunque sono… dunque sono infelice.
Con questo, noi non proponiamo la ricerca della felicità – che è
di per sé impossibile se non per brevi attimi. Noi proponiamo la ricerca di uno
stato che sia al di là del piacere e della sofferenza, della gioia e dell’infelicità.
Qualcosa che ricorda lo stato che precede la venuta all’essere o il sonno
profondo.
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