Tutto ciò che
conosciamo, lo conosciamo attraverso la nostra mente, ben confezionato in
percezioni, idee e concetti. Il bene da una parte e il male dall’altra, il
piacere da una parte e la sofferenza dall’altra, l’alto da una parte e il basso
dall’altra, l’essere da una parte e il niente dall’altra, la nascita da una
parte e la morte dall’altra, e così via. Ma per “capire” veramente le cose, è
bene non situarsi agli estremi, ma sul confine tra l’uno e l’altro. Diceva a
questo proposito Nisargadatta: “Stai sull’orlo, nello spazio dove l’essere
diventa non essere e il non essere diviene essere”.
Lo scopo della
meditazione non è tanto quello di concepire nuove idee quanto quello di
liberarsi di ogni idea, di porsi in uno stato privo di idee – perché si tratta
comunque di opinioni.
Questo è il vuoto che
dobbiamo cercare, lo stesso che c’è tra due pensieri, quando uno se ne è andato
e l’altro non è ancora arrivato. Tutto ciò che pensiamo, è sicuro che non lo
siamo. Rimaniamo piuttosto nella coscienza, che è “il portale d’accesso
all’assoluto”.
Si tratta di uno stato
che è anteriore alla coscienza, prima della coscienza. Lì scompare ogni
illusione, ogni proiezione. Lì non c’è né nascita né morte.
Lì non sai neppure chi
sei. Ma sei, e basta!
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