sabato 15 febbraio 2020

Mai nato e mai morto


Meditare è essere il più possibile consapevoli del proprio esserci. “Io sono qui e ora. Io sono consapevole di essere e di essere cosciente.” Se non avessimo questa coscienza, non esiteremmo e non esisterebbe il nostro mondo. Dunque la coscienza viene prima e il mondo (con noi stessi) viene dopo. In tal senso il mondo è una nostra proiezione. La coscienza è il nostro unico strumento.
Ma la nostra coscienza che all’inizio è gioia di essere si trasforma presto in una infelicità di essere. Sappiamo infatti che dobbiamo morire. Per che cosa lottiamo? Per che cosa ci arrabattiamo ogni giorno? Per invecchiare e sparire per sempre? Non è una bella prospettiva. È un’ombra terribile che ci oscura ogni luce.
D’altra parte l’uomo si sente gettato nel mondo. Non ha scelto nulla, non è stato interpellato da nessuno, non dispone di se stesso se non in minima parte.
Sarebbe una situazione disperante se non avessimo quel nostro strumento – la consapevolezza – che può essere focalizzata sulla percezione primaria dell’ “io sono”, in modo da capire e sperimentare alcune verità.
La prima è che noi ci identifichiamo con il nostro corpo e pensiamo che, una volta morto quello, muoia tutto. Ma chi è consapevole di esserci e di dover morire? È una coscienza che non è affatto unitaria – è divisa tra soggetto e oggetto, tra chi conosce e chi è conosciuto, tra spirito e materia…
Nella pratica meditativa, è dunque necessario fare uno sforzo di riunificazione sospendendo tutte queste distinzioni e svuotando la mente in modo da arrivare a quella intuizione del Sé che non si identifica solo con il corpo e che non è mai nato né mai morto. Ci vuole un’esperienza, non una filosofia o una fede.

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