Un conto è cercare di conoscere se stessi, un altro conto è
cercare di conoscere il Sé. Conoscere se stessi è cercare la propria identità
umana e psicologica, ciò che ci contraddistingue come persone, il nostro carattere;
ed è ciò cui invitano tutte le filosofie e le psicologie. Ma conoscere il Sé è
un’altra cosa, è il passo successivo.
Infatti per conoscere noi stessi dobbiamo inquadrare, distinguere
e definire il nostro ego, la nostra individualità. Invece, per conoscere il Sé,
dobbiamo trascendere tutto ciò e liberarci dei concetti e delle definizioni.
Se è relativamente facile accumulare idee su di sé, ben più
difficile è liberarcene. Mentre la propria identità psicologica appartiene al
mondo, la propria identità ultima è al di là del corpo e della configurazione
mentale. Il Sé non può essere desunto dai concetti e dal linguaggio, ma è
l’intuizione immediata dell’ “io sono”, senza parole. Ma che cos’è?
Lo Zen ti poneva la domanda: “Qual era il tuo volto prima della
tua nascita?” E tu non sapevi cosa rispondere. L’Advaita Vedanta ti pone la
domanda. “Che cosa eri prima di nascere, prima del concepimento?” Lo scopo di
queste domande è lo stesso: farti riflettere sullo stato che avevi prima di entrare
in questo mondo.
È evidente che tale stato è sia ciò che eri prima di esistere, sia
ciò che tornerai a essere dopo la morte. In fondo è ciò che prevale sempre, è
ciò che è sempre presente, pur essendo stato dimenticato per il breve periodo
della tua esistenza. Ma che cosa sono cento anni di fronte all’eternità?
Potremmo anche dire, con Heidegger, che l’essere attuale è un “esserci”,
ossia uno stato delimitato, oltre che dallo spazio-tempo, anche da una certa coscienza
e da un’affettività. Ma, alla fine, con la scomparsa del corpo e della mente-coscienza,
l’ “esserci” svanisce, come un sogno la mattina, e rimane solo l’essere.
Ovviamente, il termine “essere”, desunto dal nostro linguaggio
dualistico, non è adatto a indicare quello stato eterno, dal quale veniamo e nel
quale torniamo. È come un tuffo nell’acqua: esci dall’aria, entri per un po’ nell’acqua
e infine ritorni nella nostra atmosfera. Non esiste concetto per definirlo,
essendo proprio l’indefinito.
Ma questo andare e venire, nascere e morire, entrare e uscire non
serve in realtà a nulla – è un semplice gioco di apparenze creato dalla mente
umana limitata. È la mente che compare e scompare, in un’ansia febbrile.
Se vuoi trovare pace, al di là della tensione esistenziale, esci
dal gioco del dualismo, delle definizioni e dei concetti, metti a tacere il chiacchiericcio
della mente e cerca l’esperienza unitaria.
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