Il mondo non è qualcosa che è in sé. Ma
è ciò che noi pensiamo che sia.
Una credenza antica, che ha proiettato
l’intero cosmo su un palcoscenico vuoto.
L’universo è un tutt’uno, un’unità
organica, da cui noi ritagliamo immagini, fatti, eventi e individualità che non
potrebbero esistere da soli – e dunque sono nostre interpretazioni.
È per questo che poi ci lamentiamo di
sentirci, alienati, isolati e separati.
In effetti siamo simili a spiriti o a fantasmi,
pallide immagini di qualcosa che non esiste in sé. Personaggi senza autore.
Sentiamo il contrasto fra spirito e
materia nel momento in cui la materia si oppone al nostro desiderio di
controllarla. Ma il fatto è che ci siamo dimenticati di esserci separati in un
tempo molto lontano, all’inizio del cosmo.
Non è un caso che il Dio del mito
biblico crei il mondo separando la
luce dalle tenebre e poi separando le varie cose; e accorgendosi solo dopo che
erano “cose buone”.
Evidentemente neppure lui sapeva che
cosa sarebbe successo da questa separazione. Un altro alienato: un apprendista
stregone, un personaggio da commedia che non sa chi è né il risultato di ciò che
fa.
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