Tutti noi uomini siamo in teoria per lo
sviluppo della coscienza e della consapevolezza. Ma non si può non notare che l’uomo,
con lo sviluppo dell’autocoscienza, ha perso l’armonia con il mondo. Il che è ben
simboleggiato dal mito biblico dell’albero della conoscenza del bene e del
male, dove Dio non vuole che l’uomo ne mangi i frutti.
Come può un Dio non volere che la sua
creatura conosca il bene e il male?
Qui c’è la nostalgia di un modo o di
uno stato pre-evolutivo, di un rapporto fusionale, dove l’unità del tutto non è
ancora spezzata e il processo d’individuazione del singolo non è ancora
avviato. Il genitore non vuole che il figlio si emancipi e cresca: vorrebbe che
non crescesse mai, che rimanesse per sempre un bambino.
Ma questa è la contraddittorietà della
vita. È come se i genitori, dopo aver generato il figlio, volessero impedirgli
di essere consapevole, di decidere da solo e di fare esperienza in prima
persona.
Naturalmente, questo non è possibile,
perché neppure Dio può fermare il cambiamento, se non a prezzo di una regressione
e di un non-sviluppo. È come il mito di Saturno, il Padre degli dei greci che
divorava i propri figli.
Ma è anche la paura dell’uomo di
perdere la dimensione incantata della sua infanzia, l’armonia originale con il
tutto, la felicità. L’autocoscienza ha un prezzo.
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