Quando
s’incomincia a contare i respiri, ci si accorgerà che non è affatto un compito
semplice. Innanzitutto, facendo convergere l’attenzione su un meccanismo
naturale, in qualche modo lo si influenzerà – e quindi cambierà il nostro modo
di respirare. E poi, riuscire a contare per esempio fino a dieci senza
distrarsi, è più difficile di quanto si creda. In genere, dopo tre o quattro
respiri, s’incomincerà a pensare a qualcos’altro, e dovremo ricominciare da
capo. Questo ci dice quanto la nostra mente sia mobile e continuamente
distratta; in Oriente viene paragonata a una scimmia che saltella di continuo
da un ramo all’altro e non è capace di stare mai ferma a lungo in un solo posto.
Non dobbiamo però preoccuparci; con l’esercizio diventeremo sempre più bravi.
Per
meditare, un minimo di concentrazione è sempre necessario. Ma non dobbiamo
sforzare la volontà; dobbiamo sempre agire con gentilezza verso noi stessi. In
realtà la meditazione adotta sia la concentrazione
sia la consapevolezza ricettiva. La
prima si focalizza su qualcosa ed esclude tutto il resto; la seconda si apre ed
accoglie un po’ tutte le esperienze che si presentano all’attenzione. Si
raggiunge una buona capacità di meditazione quando si adottano entrambi gli
atteggiamenti. Prima ci si concentra (per esempio sul respiro o su una mantra)
e poi si rivolge un’attenzione consapevole a ciò che ci succede intorno e alla
nostra stessa esperienza interiore. Partendo da una calma concentrazione, si
incominciano ad osservare le cose come dall’alto. Ed è tutto un altro discorso
rispetto al caotico funzionamento ordinario della mente.
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