giovedì 27 aprile 2017

L'illusione del desiderio

Quasi tutti siamo convinti che la nostra infelicità derivi dalla mancanza di denaro e di possessi (compreso quello affettivo) e che saremo felici quando (e se) saremo ricchi e pieni di affetti. Ma le cose non stanno così: si tratta di un’illusione.
Il Buddha, per esempio, era figlio di un uomo ricco e viveva in un palazzo in cui venivano esauditi tutti i suoi desideri. Aveva donne in gran quantità, aveva una moglie, aveva un figlio, poteva soddisfare ogni suo capriccio e comprarsi ogni cosa. Eppure c’era qualcosa di insoddisfacente nella sua vita, qualcosa che gli rodeva dentro. E, quando incominciò ad uscire dal palazzo reale, e incontrò malati, vecchi e moribondi, si rese conto che era vissuto in un bozzolo protettivo, che non lo avrebbe mai salvato dall’infelicità.
La cosa certa è che la povertà può accentuare la nostra infelicità, ma anche che la ricchezza di beni e di affetti non può darci la felicità dell’animo cui aspiriamo.
Anzi, i poveri sono più fortunati perché possono sognare di essere ricchi e possono apprezzare la soddisfazione di diventarlo. Ma ricchi in che cosa possono sperare? In effetti molti figli di ricchi sono così infelici da arrivare a drogarsi o a suicidarsi.
Il messaggio cristiano, invece, nacque da un ambiente povero e in forte polemica contro i ricchi. Ecco perché, paradossalmente (ma non troppo), è in questa religione che si sviluppò il capitalismo. Sono i poveri che sognano la felicità attraverso l’arricchimento. E sognano, se rimangono poveri, di arrivare in un paradiso che possa in qualche modo compensarli per ciò che non hanno avuto.
Ma il buddhismo, nato da uomini ricchi che trovavano gioia nel liberarsi delle ricchezze di questo mondo, giunge a capire, meglio di altre religioni, che i nostri comuni desideri di possesso e di arricchimento non ci liberano affatto dall’insoddisfazione, perché tutti siamo soggetti alla perdita, alla sgretolamento, alla delusione, alla malattia, all’invecchiamento e alla morte.
Il buddhismo smaschera la convinzione che il soddisfacimento dei nostri desideri terreni possa darci la felicità e ci invita a trascenderlo, cioè a vedere il suo meccanismo illusorio, puntando su una liberazione dalla sua presa. In tal modo, ha uno slancio verso una reale trascendenza che le altre religioni travisano.

La trascendenza non può essere un paradiso, ma una liberazione dalle illusioni terrene.

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