Ogni tanto si sente dire che “la vita è
un dono” – come se ci fosse qualcuno che la dona a qualcun altro. Ma, se il
donatore potrebbe in teoria esserci, il soggetto a cui viene donata la vita non
c’è.
Per esempio, i genitori ci fanno nascere,
ci danno la vita; ma non hanno un soggetto preesistente cui dare la vita. Non
hanno un fantoccio privo di vita cui, ad un certo punto, aggiungono la vita,
così come ci rappresenta il racconto biblico.
Essi si fanno strumenti per farci
nascere, ma non donano proprio niente.
Non diremmo mai che un allevatore di
cani o di vitelli dona la vita; egli fa in modo che la vita si moltiplichi. Ma non
è lui a donarla; è la vita, che a seguito delle sue manipolazioni, si dona; e utilizza l’allevatore o il
genitore per farsi avanti. È un po’ come un virus che sfrutta l’ospite per
diffondersi.
E nessuno direbbe mai che un virus è un
dono; semmai, che è una malattia, qualcosa di estraneo che vuole esserci ad
ogni costo.
Sembra proprio che il concetto di dono
non possa essere applicato alla vita. Potrebbe essere un attacco virale.
La vita è qualcosa che cerca
faticosamente di farsi strada, convincendo in qualche modo gli esseri viventi a
moltiplicarla.
Non c’è dunque qualcuno che la doni a
qualcun altro. È essa stessa che si
dona.
E tuttavia il “dono” non sempre riesce
bene. E, soprattutto, viene richiesto indietro.
Ora, come potremmo definire “dono” ciò
che viene richiesto indietro e che potrebbe essere una malattia o un attacco
virale? Sarebbe una mezza fregatura.
Stiamo attenti con le parole. Anche la
vita va considerata con distacco. Non esaltiamoci. Ognuno ci guadagna qualcosa.
Ma tutti siamo strumenti, soggetti e oggetti, sfruttatori e sfruttati.
La vita è come la carità pelosa: ti dà qualcosa, ma vuole qualcos’altro
in… dono.
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