Per comprendere i nostri processi
mentali, noi siamo abituati a distinguere, a separare e a contrapporre l’osservatore
all’osservato. E questo va bene per una comune analisi psicologica. Ma, quando
poi vorremmo identificare l’osservatore, il sé, la consapevolezza, il testimone
ultimo… non possiamo farlo perché in realtà ci siamo divisi in due.
Per la meditazione, questo tipo di analisi
non va bene: ci vuole l’identificazione.
Non dobbiamo osservare l’osservatore –
dobbiamo esserlo.
L’osservatore e l’esperienza non devono
essere divisi. Ci deve essere un’esperienza di identificazione. È il contrario
di un’analisi psicologica; è la reintegrazione di soggetto e ed oggetto, di osservatore
e osservato.
Il conoscere comune è una forma di
distinzione; il meditare è una forma di immedesimazione, senza più fratture. È
un po’ come il fare l’amore. Ci si unisce. Si colma la distinzione.
Non a caso, nella parola samadhi c’è proprio l’idea di una
sintesi.
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