La nostra condizione non è uno stato
di tutto riposo, uno stato in cui si possa stare a lungo tranquilli e sicuri.
Ci sono periodi di relativo agio, cui seguono sempre periodi di crisi. Infatti
la parola “crisi” significa trasformazione, e tutto, in questo mondo, è soggetto
ad un cambiamento continuo.
Nietzsche diceva che “l’uomo è una
corda tesa sopra un precipizio.” E lo zen paragonava la condizione umana a
quella di un uomo che, inseguito da una tigre, si appende al ramo di un albero
sporgente su un abisso; e lì vede un’altra tigre che lo aspetta sotto e, in più,
due grossi topi che rosicchiano il ramo.
Insomma, c’è poco da stare allegri e
tranquilli. Siamo sempre minacciati da tutte le parti e, da ultimo, dalla morte
stessa.
Eppure, nell’apologo del buddhismo
zen, l’uomo, che doveva essere un saggio, trova il tempo di gustare un frutto
di quell’albero e lo trova particolarmente gustoso. Almeno per un momento è
riuscito ad assaporare qualcosa di bello e piacevole.
Questo è ciò che dobbiamo fare.
Nonostante la nostra precarietà e la certezza che verremo uccisi, possiamo gustare
il frutto dell’albero della vita. Poi sarà quel che sarà.
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