giovedì 1 maggio 2014

La morte di Dio

Parlare della morte di Dio è un paradosso, perché ciò che è eterno non può morire – e neppure nascere. È lì da sempre e sempre ci sarà. Altra cosa, poi, è dire che Dio è morto nell’anima umana – ma questo è un altro discorso, che non riguarda propriamente la realtà di Dio.
L’altra interpretazione è che Dio, per lasciar spazio al mondo, deve in un certo senso sparire, farsi da parte, dissolversi e quindi suicidarsi. Ma, più che sparire, subisce a sua volta una trasformazione: da Dio esterno diventa un Dio disseminato, presente dappertutto.
È il mito cristiano del Dio che muore e rinasce? Un’interpretazione letterale? In ogni caso, una metafora, una finzione, un paradosso. Si tratta di un antico mito agricolo: il seme deve essere seppellito per generare nuova vita. Non a caso, questo concetto è citato anche nei Vangeli.
Ma la pseudo-morte di Dio significa anche un’altra cosa: che finché si adora un Dio esterno, non si è in grado di crescere autonomamente. Bisogna insomma che Dio, per far crescere il cosmo, si suicidi o che venga ucciso dentro l’anima di chi lo pensa.
In Cina, il maestro zen Lin-chi diceva: “Se incontri sulla tua strada il Buddha, uccidilo!” E intendeva dire che non bisogna attaccarsi a idee esteriori del Divino.

Ma l’Occidente cristiano, meno scaltrito, ha interpretato il mito della morte di Dio alla lettera. Con il risultato che è stato costretto a farlo risorgere e a non cercarlo mai dentro di sé.

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