Quando si parla di
desiderio, bisogna stare ben attenti: parliamo del motore della vita. Non a
caso, il termine deriva dalla parola sidera
che in latino indicava le stelle, il cielo.
Se il desiderio viene dal
cielo è già un pezzo di trascendenza, non una cosetta da poco. E, infatti,
quando siamo presi dal desiderio, facciamo esperienza di una forza superiore che
ci trascina. Non siamo noi che deteniamo e controlliamo il desiderio, ma è il
desiderio che possiede noi.
In tal modo, il desiderio ci
fa capire che il nostro io è ben poco padrone in casa propria, così come aveva
notato Freud.
Ma desiderare non significa
solo voler appropriarsi di qualcosa; è anche una richiesta di riconoscimento.
Per esempio, nell’amore, significa voler essere desiderato dall’altro. Noi
vogliamo l’altro, ma vogliamo anche che ci desideri. E questo complica
ulteriormente le cose, mettendoci di fronte ad una doppia impotenza. Ci
accorgiamo, infatti, che niente è nelle nostre mani: né il nostro desiderio né
quello dell’altro. Possiamo anche comprare la presenza o il corpo di qualcuno,
ma non il suo desiderio.
Scopriamo infine che, per
quanto si desideri qualcosa o qualcuno, una volta ottenuto l’oggetto, questo
risulta insoddisfacente. Che cosa desideriamo allora veramente? In realtà
desideriamo qualcosa di inafferrabile, un oggetto che non soddisfa mai e che
rimanda a qualcos’altro.
Ciò che desideriamo, in
fondo, è il tutto, l’infinito.
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