Per quanti sforzi si
facciano, non si arriverà mai a cogliere la verità ultima: questa è la lezione
che ci viene dallo Zen. Noi infatti, utilizzando parole e concetti non possiamo
afferrare ciò che è al di là delle parole e dei concetti, sempre dualistici,
sempre rispondenti al principio di non contraddizione. Invece la verità ultima
non è duale ed è contraddittoria, nel senso che comprende entrambi gli opposti.
Lo stesso concetto di “verità ultima” è già una riduzione.
Non abbiamo insomma gli
strumenti mentali.
Ma il vizio della mente è
proprio questo: cercare di ridurre la verità nei suoi limiti. Già nell’idea di
concetto (dal latino cum-capio),
sveliamo la pretesa di delimitare ciò che, per essere la verità ultima, non può
essere circoscritto. È come se un cerchio più piccolo volesse comprendere il
cerchio più grande. Possiamo solo utilizzare simboli, metafore, allegorie, analogie,
similitudini, ecc.
Allora, che cosa ci rimane? Potremmo
dire: non pensare. Ma questo non significa smettere di cercare; significa non
deporre l’intenzione e neppure lo sforzo, tenendoli però sotto traccia,
ripetendo più e più volte la domanda, senza aspettarci una risposta in termini
di parole. Lo dicono chiaramente le Upanishad: la verità appare come quando
splende un lampo e noi, privi di parole, esclamiamo: “Oh!”
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