giovedì 16 febbraio 2017

La grande e la piccola beatitudine

Ci sono cose che abbiamo davanti tutto il giorno, ma che non vediamo. Sono un po’ come la lente del cristallino: è ciò che ci permette di vedere e attraverso cui passa ogni immagine, ma a cui non pensiamo mai… a meno che non abbia problemi.
Anche il vuoto è sempre presente. Ma chi ne è consapevole? Quando ascoltiamo una musica o guardiamo un oggetto, non ascoltiamo e non vediamo lo spazio vuoto che  permette a quella musica e a quell’oggetto di apparire. Eppure lo spazio vuoto è sempre lì.
Anche la beatitudine è sempre lì, è sempre presente, è sempre sottotraccia – basta lasciar andare la tensione, dukkha, la sofferenza, ed essa si presenta, dapprima timidamente e poi sempre chiaramente.
In realtà, basterebbe lasciar andare un po’ la tensione che ci accompagna sempre per far emergere la beatitudine. Tolto l’ostacolo, l’acqua può fluire.
Il problema è che, induriti come siamo dall’esistenza, crediamo che, per trovare la beatitudine, dobbiamo impegnarci o sforzarci – sforzarci di essere rilassati, il che è una contraddizione.
Abbiamo perduto la capacità di lasciar andare, pensiamo che tutto debba essere conquistato, a prezzo di duri sforzi. Ma la nostra natura rilassata, il nostro essere beato è sempre presente.
Quando ci rilassiamo, incomincia ad emergere la piccola beatitudine del sollievo. E se riuscissimo a rimanere rilassati a lungo, emergerebbe anche la grande beatitudine. Qualcosa di ordinario, non di speciale.
Purtroppo, noi siamo convinti che, per essere beati, si debba prima soffrire, e quindi soffriamo. Perché questo è l’unico modo che abbiamo trovato per provare sollievo.


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