Ci sono cose che abbiamo davanti
tutto il giorno, ma che non vediamo. Sono un po’ come la lente del cristallino:
è ciò che ci permette di vedere e attraverso cui passa ogni immagine, ma a cui
non pensiamo mai… a meno che non abbia problemi.
Anche il vuoto è sempre presente. Ma
chi ne è consapevole? Quando ascoltiamo una musica o guardiamo un oggetto, non
ascoltiamo e non vediamo lo spazio vuoto che
permette a quella musica e a quell’oggetto di apparire. Eppure lo spazio
vuoto è sempre lì.
Anche la beatitudine è sempre lì, è
sempre presente, è sempre sottotraccia – basta lasciar andare la tensione, dukkha, la sofferenza, ed essa si
presenta, dapprima timidamente e poi sempre chiaramente.
In realtà, basterebbe lasciar andare
un po’ la tensione che ci accompagna sempre
per far emergere la beatitudine. Tolto l’ostacolo, l’acqua può fluire.
Il problema è che, induriti come
siamo dall’esistenza, crediamo che, per trovare la beatitudine, dobbiamo
impegnarci o sforzarci – sforzarci di essere rilassati, il che è una
contraddizione.
Abbiamo perduto la capacità di
lasciar andare, pensiamo che tutto debba essere conquistato, a prezzo di duri
sforzi. Ma la nostra natura rilassata, il nostro essere beato è sempre
presente.
Quando ci rilassiamo, incomincia ad
emergere la piccola beatitudine del sollievo. E se riuscissimo a rimanere
rilassati a lungo, emergerebbe anche la grande beatitudine. Qualcosa di
ordinario, non di speciale.
Purtroppo, noi siamo convinti che,
per essere beati, si debba prima soffrire, e quindi soffriamo. Perché questo è
l’unico modo che abbiamo trovato per provare sollievo.
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