mercoledì 22 febbraio 2017

I tre passi della meditazione

Con l’interiorizzazione volgiamo lo sguardo a ciò che guarda, al Testimone. Con la consapevolezza siamo coscienti di ciò che avviene nel momento presente. Con la concentrazione manteniamo viva l’attenzione.

Così scopriamo, primo, che nessun ente è a sé, nessun ente è in sé, per il semplice motivo che ognuno è composto da altri enti; e, secondo, che nessun ente è permanente.

Quando poi cerchiamo il Testimone ultimo, diciamo che è l’io, la nostra coscienza, ma non riusciamo a identificarlo. Scopriamo che ci sfugge sempre. Il nostro io non può essere il Testimone ultimo. C’è sempre qualcosa che è consapevole della nostra stessa consapevolezza.
“Il conoscente da chi potrà essere conosciuto?” si domandavano le Upanishad.
Non è il nostro sé individuale, ma un sé più ampio, il Sé universale.
È questo Sé più vasto che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, non per conoscerlo come un oggetto, ma per identificarci il più possibile con esso.

Vediamo che la nostra identificazione/identità attuale è troppo limitata. E cerchiamo di assimilarci ad una più grande.

5 commenti:

  1. Purtroppo il se', l'io individuale, come citava Alan Watts, ci rende orfani in questo mondo. Ed e' proprio questa sensazione di non appartenenza che ci rende inquieti ed alienati. Bisogna avere la necessita' di saper guardarsi dentro e di saper guardare oltre... nel se' universale. Solo in quel momento si riuscirà ad accettare ad apprezzare l'intera unione universale.

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    1. L'individuale è la porta per l'universale. "Guardare oltre" cercando di saltare l'individuale è un bypass spirituale : può funzionare per dare un sollievo temporaneo, ma a lungo andare non paga. L'io va integrato per essere trasceso.
      Detto in modo poetico "prima di essere nessuno devi essere qualcuno."

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  2. Se aspettiamo di integrare l’intero io prima di meditare, ci vorranno centinaia di vite. È chiaro che l’io è in qualche misura sempre disintegrato.
    Dobbiamo distinguere tra io psicologico e io spirituale. Se lavoriamo solo sull’io psicologico, entriamo in un percorso senza fine. Ad un certo punto dobbiamo “saltare oltre”.

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    1. Grazie per la risposta Claudio. Non sono d'accordo quando dici "l'io è in qualche misura sempre disintegrato". È possibile ricomporre la spaccatura originaria dell'io, risalendo fino al primo fulcro di differenziazione. Ne ho parlato qui Evoluzione della coscienza nella parte relativa alla dissociazione.
      Tentare di "saltare oltre" senza ricomporre la spaccatura primordiale dell'io non consente di mantenere la condizione di unione. Sarà sempre uno stato di coscienza, ma non sarà mai uno stadio evolutivo.
      Forse però stiamo definendo con termini uguali qualcosa di diverso. L'io - per come lo intendo io in quello che scrivo - è il centro di identificazione della coscienza. La mente è un'altra cosa. Quando leggo le tue parole "io psicologico", cosa devo intendere?

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    2. L’io psicologico è per sua natura sempre diviso, dagli altri e da se stesso. Possiamo forse recuperare e integrare le parti inconsce, le ombre, le pulsioni istintive? E, una volta definitici in base ai ruoli psicologici, siamo in grado di sapere come saremmo senza di essi? Siamo tutti condizionati da eredità biologiche, genetiche, psicologiche, culturali e sociali, su cui non abbiamo nessun controllo. Possiamo solo in parte e in modo generico esserne coscienti, ma non possiamo farne a meno. Possiamo esserne coscienti solo in parte. In fondo, essere coscienti significa essere divisi.
      Compiuto questo primo passo, questa prima presa di coscienza della nostra insanabile divisione, già ci spostiamo su un altro piano. Lasciando da parte le complicazioni dell’io empirico, ci spostiamo sul sé spirituale che oltrepassa tutto. È vero che l’io empirico non sarà mai integrato completamente e che quindi ritornerà a disturbare e a interferire. Ma non c’è altra possibilità. Questa è l’esperienza di tutti i santi, di tutti i mistici e di tutti gli illuminati, che, dopo le loro sublimi esperienze, devono ritornare alla dura realtà, tormentati dai diavoli, dai loro simili e da se stessi.
      Non dico che le indagini psicologiche, le psicoanalisi e le psicoterapie siano inutili. Tutte sono utili per conoscere e per trasformare se stessi. Ma non sono sufficienti. E qualcosa di irrisolto, di non integrato rimarrà sempre. Non c’è un percorso continuo che porti alla trascendenza. Ad un certo punto bisognerà saltare, ossia avere quell’intuizione in più che nel normale percorso di integrazione non c’è.

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