Noi crediamo sempre di sapere chi
siamo, perché abbiamo una mente e una memoria che ci danno una risposta – una
risposta che è associata in parte alla carta d’identità e in parte al ricordo
delle nostre esperienze. Noi siamo quelli
lì. Ma se prendessimo due persone e facessimo fare le stesse esperienze,
loro si riterrebbero ancora individui diversi. Il senso dell’identità è ancora
più profondo: è il modo interiore in
cui facciamo le esperienze.
Qual è questo modo interiore? È impossibile spiegarlo, perché ci precede sempre. È qualcosa che è anteriore alle
esperienze. Se volessimo trovarlo, ci troveremmo nella situazione in cui si
trova un cane che insegue la propria coda. Possiamo trovare qualche elemento
ricorrente, ma non il tutto. Il tutto ci sfugge sempre.
Se il sé è sempre a priori, noi siamo senza saper bene chi
siamo. Siamo ciò che ricordiamo o ciò di cui siamo consapevoli, ma non il
soggetto ultimo della consapevolezza, il Testimone ultimo.
C’è un unico modo per identificare
questo Identificatore ultimo: interrompere ogni attività per farlo rimanere
solo, per farlo affiorare.
Questo è uno degli scopi della
meditazione. Trovare se stessi al di là delle solite identificazioni.
No avremo una risposta definita. Ma
avremo uno stato d’animo di identità. “Io sono quello – e non un altro.”
Poco importa se questo Identificatore
ultimo sia eterno o sia anche lui impermanente. È quello che siamo.
Questa è la Presenza ultima. E non è difficile appurarla.
Questa è la Presenza ultima. E non è difficile appurarla.
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