Dicevo che, per utilizzare i
mantra, è meglio aspettare quei momenti nella giornata in cui la mente, sempre
febbrile, si arrende alla stanchezza e incomincia spontaneamente a rallentare,
magari prima che ci si addormenti. Infatti dobbiamo cercare di influenzare noi
stessi per cambiare prima i nostri comportamenti abituali e poi la realtà che
ci circonda. Ma le nostre reazioni sono il prodotto di un lungo condizionamento
che ormai si è cristallizzato nel nostro corpo, nel nostro modo di pensare e
nelle nostre reazioni agli eventi. Ripetiamo un copione già scritto - già
inscritto nel nostro inconscio. E non possiamo cambiarci e cambiare le cose se
non riusciamo a penetrare a simili profondità. Bisogna dunque portare il
messaggio del mantra a livelli inconsci cui di solito non abbiamo accesso e che
comandano i nostri pensieri e le nostre emozioni.
La mattina, quando ci
svegliamo, siamo dell’umore che ci hanno preparato i sogni inconsci della
notte.
Partire dalla mente
razionale per scendere a livelli di solito inconsci risulta un’arma spuntata, a
meno che non si riesca a utilizzare quei momenti in cui la mente inconscia
incomincia ad emergere.
La metafora dell’iceberg
illustra bene il rapporto tra inconscio e conscio. Due terzi sono sotto la
superficie del mare e solo un terzo è emerso. Le parti sotterranee sono quelle
non riducibili ad un semplice pensiero e quindi ad una parola o ad una frase
del pensiero e della volontà razionale.
Il mantra deve quindi a sua
volta riuscire a penetrare il livello razionale per diventare un comando
inconscio. Deve diventare una specie di riflesso condizionato. È necessario
insomma riprogrammare le istruzioni più profonde, ripetendole fino a farle
diventare automatiche, un nuovo automatismo. Bisogna ripetere il mantra finché
esso non diventi automatico, proprio come un’istruzione inconscia. E, per far
questo, si può utilizzare la via della stanchezza, perché, quando il corpo e la
mente sono stanchi, arrivano alla guida le istruzioni inconsce.
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