mercoledì 30 luglio 2014

Il grande compito della meditazione

Qualsiasi domanda della mente può essere un koan. Ed è questo modo di impostare la ricerca che differenzia la meditazione dalla filosofia. Per esempio, alla domanda: “Che cos’è la vita?” non cerchiamo di rispondere con una definizione, ma cerchiamo di “sentire” che cosa stiamo sperimentando ora, in questo attimo. Questa è la risposta, non un concetto.
Prendiamo la domanda: “Che cos’è l’essere?” – l’antico interrogativo della filosofia. Non dobbiamo rispondere con una definizione, che resterà sempre nell’ambito dei concetti mentali, ma con la nostra esperienza attuale. Che cosa siamo in questo momento? Che cosa sentiamo, con tutti i nostri sentimenti, con tutte le nostre percezioni, con tutto ciò che siamo?
Siamo come il pesce che vive nell’acqua e che si domanda che cosa sia l’acqua, andando a cercare un’idea della mente, anziché la propria esperienza.
Certo, la definizione è importante: è scienza, è filosofia, è una presa di coscienza. Ma attenzione a non smarrirci nei concetti, perdendo di vista la realtà sostanziale – che non è un concetto.
Nessuno è più lontano della realtà del filosofo impegnato a pensare.
In meditazione cerchiamo di rispondere a simili domande (per esempio: “Chi sono io?”), non ricorrendo a definizioni, ma riportandoci all’esperienza del momento. L’esperienza del momento è qualcosa di reale e tangibile, anche se contingente e variabile. Ecco perché dobbiamo compiere il passo successivo, e cercare di cogliere la natura fondamentale dell’io o dell’essere. Questo è il grande compito – un compito non facile, dato che, per rispondere, siamo abituati a dividerci in due: il soggetto che conosce e l’oggetto che è conosciuto. Ma l’oggetto conosciuto non è più il soggetto.
È dunque necessario liberarsi del dualismo mentale (ed emotivo) e fare il più possibile il vuoto dei pensieri.


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