In estrema sintesi, potremmo dire che la
coscienza è la manifestazione principale del divino e che essa è presente in
ogni essere vivente, in misura maggiore o minore. E quindi tutti sono divini,
anche se se lo sono dimenticati.
Esistono però un divino manifesto e
incarnato negli esseri viventi e un divino non manifesto e non incarnato.
Il problema è che il divino, nel momento in
cui si incarna in un corpo e in un individuo, aliena se stesso; e sta
all’individuo, attraverso a meditazione, lo sforzo di recuperare la propria
integrità generale, la propria universalità.
Così, quando ci ricordiamo chi siamo, quando
facciamo uno sforzo per essere consapevoli della nostra consapevolezza, è il
divino che recupera se stesso, al di là del corpo e della mente.
Uno dei limiti del divino incarnato è l’attaccamento
alla vita. Tutti gli esseri viventi sono attaccati fondamentalmente alla vita
e, se potessero, vivrebbero per sempre o comunque migliaia di vite –
trascurando il fatto che dovrebbero comunque vivere altre migliaia di morti e subire
altre paure e sofferenze.
L’unico per modo di uscire da questo circolo
vizioso è familiarizzarci con la nostra stessa consapevolezza depurandola dagli
attaccamenti e dagli interessi personali, fino a trovare la sua natura ultima,
che non è neppure più una coscienza duale, ma qualcosa di intero e universale.
Con la meditazione usciamo dall’individuale e
ci ricordiamo chi siamo realmente. Siamo la trascendenza stessa.