I saggi e
gli illuminati di ogni tradizione concordano su un punto: che tanto male derivi
dall’egoismo umano, dalla convinzione di essere un individuo che possiede cose e persone, che dice sempre
“questo è mio”; e che le angosce nascano dalla certezza che tutto ciò – i
possedimenti materiali e immateriali e lo stesso io – un giorno andrà perso.
Come è
possibile rimediare a questo stato di cose, com’è possibile far uscire l’uomo
dal suo egoismo?
Ci riescono
meglio le dottrine che credono all’immortalità dell’ego (anima) o a quelle che
mettono in discussione proprio la sua consistenza?
Se io dico
che l’ego è eterno, come posso poi uscire dall’egocentrismo? Anche l’io verrà
visto come un possesso. “Io sono mio, io possiedo un ego.”
Se invece
dico che l’io è solo un nodo che emerge temporaneamente da una rete di
condizioni, e che non ha uno statuto proprio, come posso sostenere che sia “mio”?
Niente è
veramente “mio”, niente mi appartiene, niente è “io”. E non perché l’io sia
nulla, ma perché è parte del tutto ed esiste in relazione con il resto del
mondo. Il mio io non è solo il corpo e la mente, ma anche l’ambiente, gli
altri, il cielo, il sole, la galassia e l’universo.
Parlare di “tutto”
o di Dio – in quanto Essere separato – fa una grande differenza, perché il
tutto non è distinto da me, mentre Dio…
Se
rigettiamo la posizione degli eternalisti (che vedono enti eterni dappertutto),
non dobbiamo neppure cadere nella posizione opposta dei nichilisti, per i quali
non esiste niente.
No, le
cose, gli individui, esistono, ma sono come le increspature dell’acqua o suoni che
vibrano per qualche attimo nel concerto universale. Devono però finire. E dove
finiscono?
Non nel
nulla. Ma nel tutto. Il problema è che sono proprio le idee eternaliste (inevitabilmente
egocentriche) che ci impediscono di abbattere le barriere e defluire nell’infinito.
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