Esprimendoci
con un linguaggio vecchio, potremmo dire che il nostro compito è recuperare la nostra
anima, ossia recuperare la nostra interiorità. Ma quando si perde l’anima?
Quando ci si
proietta solo all’esterno, quando si vive per l’esteriorità e si esteriorizza
anche il divino facendone un “Dio;” quando si perde il contatto con se stessi,
con la propria interiorità.
Questo è il più
grande errore.
Come se Dio e l’esteriorità
potessero vivere senza le nostre risorse interiori, senza la nostra coscienza.
Prendete un
individuo con gravi problemi psico-fisici – lui non sa neppure che cosa siano
Dio o l’anima. Non è in grado di concepirli.
Dunque, senza
una mente cosciente non esistono. È la consapevolezza che può concepirli e, per
quanto riguarda l’anima, concepirla facendola
essere.
È certo che l’anima
esista, essendo proprio ciò che la concepisce. Ma, quando si parla di un divino
esterno, non è detto che esista. A meno che non lo si intenda come la forza che
ha dato vita alla capacità di essere consapevoli – forza che però coincide con
la consapevolezza indagante.
Essendo sempre
più consapevoli consolideremo la nostra anima che potrà salire a livelli
superiori, trascinando con sé anche il cervello che è sempre più plasmabile. Ma
ci vuole un grosso impegno.
La coscienza nasce da e con un cervello. Ma poi è in grado di procedere oltre e plasmare il
cervello stesso.
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