Della mente o si è schiavi o si è padroni. Tutto sta
nel mantenere da essa una certa distanza, ricordandoci spesso di osservarla con
distacco. Quando la si osserva con distacco, ci si disidentifica da essa trasformandosi da semplici agenti passivi a
testimoni.
La posizione del testimone ci permette di comprendere come
siamo schiavi di bisogni, di desideri e di modalità di pensiero automatiche e
condizionate che ci fanno muovere come marionette e ci fa vedere quanto poco
siamo autentici. In pratica, di solito, ripetiamo schemi di pensiero e di
comportamento che ci stati instillati fin dall’infanzia dalla famiglia, dalla
scuola, dalla religione, dalla pubblicità e dalla società in genere. Di nostro
c’è ben poco. Siamo scimmie ammaestrate. Siamo uomini-massa, formiche o api di
un sistema che ci impone azioni stereotipate.
La posizione del testimone recupera una certa
autenticità o, per lo meno, mette dubbi su ciò che pensiamo e facciamo
abitualmente. C’è dunque un periodo di smarrimento – la “notte oscura dell’anima”
– che viene superata quando ci rendiamo conto che il mondo non è che una
proiezione della coscienza e che la nostra vera natura sta al di là della
nostra necessità di avere un io.
L’io non è una conquista, ma una limitazione.
Il mondo ci appare come un palcoscenico su cui tutti
recitano una parte senza sapere chi sono veramente, una specie di sogno del
tutto irreale. La realtà appare solo quando ci dimentichiamo dell’io abituale e
ci allarghiamo al tutto.
Siamo noi che, per nascere e avere questa esistenza,
ci siamo limitati e ristretti. Dunque, dobbiamo far in modo di allargare la
nostra visuale e di considerare la morte non come uno spauracchio ma come una
riappropriazione della nostra vera identità.
Assumendo la posizione del testimone, già entriamo nel
nuovo mondo, nella nuova dimensione.
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