Tutti sanno di dover morire e ne sono terrorizzati. Si
può dire che il fantasma della morte aleggi di continuo nelle nostre esistenze,
tanto da amareggiare i momenti più belli e creare uno spauracchio che è al
fondo di tutte le nostre paure.
Per combattere questa paura, molti credono o sperano
in qualche Dio e in qualche paradiso ultraterreno. Gira e rigira, questo
promettono le religioni.
Ma perché questo strano meccanismo divino? Perché
dover morire, dover essere giudicati e infine resuscitare? Si tratta di un
modello scolastico – il modello dell’esame, della vita come esame. Però il
conto non torna per quelli che muoiono prima, per esempio per i bambini. E
allora ecco entrare in campo teorie come la reincarnazione, sempre più
complicate e macchinose.
Il fatto è che tutto ciò che nasce, tutto ciò che ha
vita, deve morire. E quindi non ha senso parlare di una “vita” nell’aldilà. Se
fosse una vita, anche lì ci sarebbe la morte.
Dunque o ci liberiamo dell’intero ciclo vita-morte, o
non usciremo mai, qui o altrove.
La vita non è un dono di qualche Dio, ma una specie di
errore cosmico che ci tocca riparare, facendolo svanire in quella Origine da
cui è malauguratamente saltato fuori. Come si fa?
Riflettendo su quel che ho appena detto. Dobbiamo rivedere
il modello di sviluppo e i giudizi di valore. Una nuova rivoluzione
copernicana.
La morte può essere un momento di beata liberazione
per chi è saggio, non di terrore.
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