Quando nasciamo, i nostri
genitori rappresentano tutto. Per i primi anni dipendiamo interamente dal padre
e dalla madre, che sono le nostre divinità: possono farci vivere e possono
farci morire, possono darci il bene e possono darci il male. Dunque, non
possiamo fare a meno di affidarci a loro.
È naturale che questa prima
esperienza di onnipotenza dei genitori e di nostra dipendenza e fiducia in loro
sia alla base della successiva concezione di Dio, che infatti viene visto come
un Padre o una Madre. In tutte le religioni esiste un Dio padre onnipotente e,
accanto a lui, una Madre divina. Nelle società paternalistiche, il Padre divino
ha la preminenza sulla Madre. In altre è il contrario. In altre ancora la
Divinità è rappresentata dall’unione fra i due.
Questo non significa che Dio
sia un Padre o una Madre, ma che noi non possiamo far a meno di pensarlo così:
non possiamo evitare di proiettare nella nostra idea di Dio le immagini innate
del padre e della madre.
Quando cerchiamo aiuto,
conforto o protezione, e magari i genitori sono morti, questi diventano
i nostri naturali intercessori. Se ci hanno protetto in vita, perché non
dovrebbero continuarci a proteggerci in cielo?
Ecco il fondamento di ogni
religiosità umana, di ogni culto dei morti.
Ma Dio è Trascendenza. Che
non è rappresentabile. Che cos’è? Una luce, un’energia, un sentimento, uno
spirito, un vuoto?... comunque tutte cose che la nostra mente non riesce a
concepire. Nella Trascendenza dove sono il maschile e il femminile, il padre e
la madre?
Le nostre teologie
arrancano, balbettano, farfugliano… ma, alla fine, non possono che utilizzare e
proiettare immagini umane. E più parliamo, più pensiamo, più immaginiamo, più
cerchiamo di percepire Dio… più ce ne allontaniamo.
Alcune menti perspicaci hanno
concluso che, per avvicinarsi a questo mistero, la cosa migliore sia smettere
di straparlare di Dio e cercare di svuotare la mente da ogni idea preconcetta. Infatti,
il nostro vuoto mentale sarà comunque più vicino alla Trascendenza di qualsiasi
pensiero umano.
Proviamo a metterci dalla parte del ragionamento comune. Che me ne faccio di un Dio che non posso nemmeno lontanamente immaginare, concepire, ipotizzare, presumere? Che è fuori completamente dalla mia portata? Che ci sia o non ci sia per me non cambia nulla, anzi l'idea stessa di Dio viene a cadere. Dio è vuoto? Bellissimo: e ora che lo so? Forse in qualche momento troverò la pace, ma i miei problemi rimarranno irrisolti, tutti i miei interrogativi, e non solo quelli esistenziali, permarranno immutati.
RispondiEliminaCon questo non voglio dire che io la pensi così, semplicemente spiegare perchè una tale idea del Divino stenti, e stenterà ancora, a farsi largo.
Lei parla giustamente di “ragionamento comune”. E il ragionamento comune è sempre di tipo utilitaristico. A che cosa mi serve questo o quello? A che cosa mi serve un Dio del genere?
RispondiEliminaIn tal modo il ragionamento comune si crea un fantoccio, un’illusione, che forse sarà una consolazione per qualcuno, ma che finisce per non rispondere alle nostre domande.
Noi qui ci occupiamo di rintracciare l’origine della cose, il più possibile al di fuori delle mitologie e delle proiezioni psicologiche.