venerdì 8 agosto 2014

Il dio personale

Nel buddhismo tibetano e nel Vajrayana indiano, lo yidam è la divinità protettrice dell’individuo. E ognuno ha la sua. Ma non si tratta di un santo protettore, simili a quelli che conosciamo nel cristianesimo. Ci dev’essere una certa affinità psicologica tra il devoto e lo yidam. Quando perciò il fedele si rivolge al suo dio protettore, in realtà riconosce le proprie disposizioni psicologiche e lavora su di esse. Da qui varie tecniche meditative in cui ci si visualizzata come yidam.
Le menti più illuminate, però, hanno già precisato che questi yidam sono un’immagine divinizzata dell’individuo; quindi, più che con figure concrete, si ha a che fare con proprie rappresentazioni psicologiche.
Procedendo oltre, si può dire che lo yidam è la parte divina di ciascuno. Poiché noi abbiamo un’anima immortale, abbiamo in noi una scintilla divina; e identificare lo yidam significa riconoscere la nostra stessa divinità.
“Tu sei dio, e non lo sai” diceva Nisargadatta. Sei un dio alienato e decaduto, un dio che ha dimenticato la propria origine. E rivolgerti allo yidam significa far un’opera di ricordo di essa.
Ma, a pensarci bene, tutte le divinità non sono che proiezioni della nostra mente, la quale, in quanto frammento della mente divina, proietta ogni immagine di Dio e degli dei. E dunque ogni tecnica di meditazione a questo si riduce: a riconoscere la propria natura divina.

“Tu sei un essere divino, e te lo sei dimenticato.”

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