lunedì 18 agosto 2014

"Dolore da finitezza"

Nessuno può essere soddisfatto della condizione umana. Si tira avanti come si può, si tenta di trarre il meglio…ma non possiamo evitare il peggio. Possiamo al massimo limitare i danni e ridurre l’infelicità inutile, quella che deriva da ambizioni, da pretese e da ambizioni fasulle.
Comunque si tratta di una condizione intermedia, non stabile, soggetta ad una buona dose di sofferenza. La saggezza ci insegna a soffrire il meno possibile, ad evitare motivi di conflitto non necessari, ma non possiamo evitare le sconfitte, gli insuccessi, le perdite, le malattie, la vecchiaia, la morte…
Quando perciò proviamo un senso di irrealtà o di insoddisfazione, è più che giustificato. Non lo scacciamo come cosa importuna; è la nostra esigenza di felicità e di perfezione che lo alimenta. È un utile punto di partenza per andare oltre.

Noi aspiriamo ad una condizione più stabile, più felice, più piena. E questo sentimento di “dolore da finitezza” è il segno che non ci accontentiamo e che possiamo e dobbiamo mirare più in alto. Nessun altro essere vivente lo prova. È la conferma che nutriamo una incancellabile spinta alla trascendenza.

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