Il mio primo libro si
intitolava Tecniche della meditazione
orientale (Mondadori, 1985). L’idea del titolo mi veniva da Tecniche dello yoga (Boringhieri,
1952-1972) di Mircea Eliade, il grande studioso di storia delle religioni.
Alla base dell’opera c’era
la convinzione che, per raggiungere la liberazione, l’illuminazione o il
risveglio esistesse una via “tecnica”, ossia un metodo che fosse utilizzabile
da tutti. Se esegui determinate operazioni mentali, ottieni determinati
risultati. Non dunque qualcosa di soggettivo, ma un metodo che funziona sempre
e con chiunque.
Insomma, se si preme
l’interruttore della luce, nella stanza si accende la lampadina,
indipendentemente dal fatto che chi lo fa sia buono o cattivo, intelligente o
stupido. Così funziona la tecnica.
Ma, in campo meditativo,
esistono pur sempre differenze individuali, dovute proprio al livello evolutivo
di ciascuno e alle capacità di comprensione. Usando l’esempio di prima, se
premiamo l’interruttore, la luce si accende sempre… ma non tutti hanno la
stessa lampadina. C’è chi accende una lampadina da 10 watt e chi da 100.
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