Se
conoscere per l’essere umano è relativamente facile, perché a questo lo portano
le strutture e le tendenze innate della mente, ciò che si apprende è
condizionato da queste stesse strutture e tendenze.
Molto più
difficile è la non-conoscenza, riflettere cioè sui meccanismi che ci portano a
conoscere, in modo da non dare sempre rispose condizionate e già contenute per
così dire nelle domande. Questa non-conoscenza è prima un fermare la mente
raziocinante e poi ri-comprendere ogni volta le domande e le risposte che essa
stessa pone.
Così
procede la scienza. E così procede la meditazione.
Non
bisogna illudersi che le prime
risposte siano le più profonde, e che la verità trovata sia quella definitiva e
non debba essere sempre riconsiderata. Il mondo si tiene ben stretto le sue
verità.
Non
bisogna illudersi che la verità sia palese.
Non
bisogna illudersi che la verità sia immutabile. È mobile come tutto, ed è ben nascosta.
Sfruttare
ogni forma di frattura, di fessura, di interruzione della continuità mentale, di
contraddizione e di paradosso. Concentrarsi sugli intervelli mentali, sulla
discontinuità.
In realtà,
ogni forma di concentrazione senza oggetto (e possibilmente senza soggetto) è
la via giusta.
Per far
entrare una nuova verità, bisogna prima svuotarsi della vecchia.
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